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UN CARATTERE TIPOGRAFICO (FONT) STUDIATO PER I DSA

tratto da "Progettare la Comunicazione" di Leonardo Romei

18 ottobre 2013

 

La scelta di una font (il carattere tipografico) può avere effetti positivi sulla lettura. Non esiste però una font che sia valida per qualsiasi esigenza di lettura e DSA.

TEST ME è un font gratuito che permette di interagire e creare il font su misura per gli affetti da DSA scegliendo le lettere e le forme maggiormente comprensibili.


"MIGLIORARE LA LETTURA" SIGNIFICA AGIRE SU:

 

•    VELOCITA’: tempo necessario per leggere una certa porzione di testo;

•    AFFATICAMENTO: effetto sul rallentamento dei riflessi dopo la lettura;

•    COMPRENSIONE: valuta quanto alla fine del testo il lettore ha effettivamente capito, a parità di complessità del contenuto;

•    ACCURATEZZA: tiene conto degli errori di lettura compiuti;

•    GRADO DI RICONOSCMENTO: capacità di distinguere le singole lettere.

 

 

ELEMENTI CHE DIFFERENZIANO UNA FONT RISPETTO AD UN'ALTRA

 

Le diverse font esistenti sono basate sulla stessa struttura, che è più o meno identica da quasi 550 anni, ma si distinguono tra loro per la forma esteriore, in pratica per quello che “sta attorno” alla struttura di base. Gli elementi che differenziano i caratteri sono sintetizzabili in almeno 36 parametri. Anche i “non addetti” possono osservare con facilità una parte di essi, in particolare:

•    dimensione dell’occhio medio a parità di corpo;

•    lunghezza di ascendenti e discendenti;

•    presenza/assenza delle grazie;

•    spessore delle aste;

•    modulazione e contrasto tra spessori.

•    

Nell’immagine che segue mettiamo a confronto, rispetto a queste cinque caratteristiche, due font molto diffuse: Arial e Times.

 

 

CARATTERISTICHE DI UNA FONT STUDIATA PER I DSA

 

Dalle ricerche che abbiamo consultato e dall’analisi delle font elaborate per soggetti con DSA emerge che la questione fondamentale è quella di evitare l’affollamento, ovvero la confusione tra le singole lettere. La più immediata strategia che si può adottare è quella di

aumentare lo spazio tra le lettere, tra le parole e tra le righe; probabilmente anche l’assenza di grazie, che riduce i segni presenti, può avere un effetto positivo.

 

Un’ulteriore questione emersa è quella di massimizzare il grado di riconoscibilità delle lettere intervenendo su una serie di caratteristiche, tra cui:

•    eliminazione o riduzione dell’uso del corsivo;

•    forte differenziazione formale tra le lettere simili: I (i maiuscola) – l; m – n – u; b – d – p – g – q; in questo tipo di intervento, al contrario di quanto detto prima, l’assenza di grazie può rendere meno distinguibili tra loro le lettere;

•    le singole lettere che hanno larghezze troppo simili tra loro, anche se hanno forme differenti, tendono a somigliarsi; l’intervento mirerà a differenziare nettamente la larghezza di lettere “tonde” (come la o) da quella di lettere “rettilinee” (come la n); questo senza dimenticare che un carattere deve mantenere una certa omogeneità di rapporti e proporzioni, dunque se si differenziassero le larghezze di tutte le lettere, senza tenere conto della struttura di base (rettilinea o tonda), si perderebbe l’omogeneità e l’unità del testo;

•    ascendenti e discendenti alte, più visibili rispetto all’insieme delle lettere.

 

Altro elemento da considerare, in un’ottica di progettazione inclusiva, è l’importanza di elaborare font efficaci per persone con DSA che tuttavia siano funzionali anche per altri tipi di lettore.

Se la soluzione è pensata ad hoc per un certo individuo è normale che presenti delle caratteristiche fortemente specifiche, ma non bisogna sottovalutare che produrre libri e testi “speciali” rischia di isolare chi ha DSA.

Occorre dunque tenere presente che alcune modifiche alla struttura convenzionale del testo, se portate alle estreme conseguenze, possono ridurre notevolmente le performance di lettura di chi non ha DSA.

 

UNA FONT PER TESTARE

 

Se consideriamo quanto detto nei precedenti paragrafi e le varie tipologie di DSA con cui confrontarsi, appare evidente che non esiste una risposta unica, ma tanti casi da affrontare e molti parametri da sperimentare e combinare per trovare soluzioni di volta in volta ottimali. A partire da questi elementi è stata progettata una font perfettamente utilizzabile, ma che fosse in primo luogo uno strumento di verifica.

Luciano Perondi ha rielaborato Titilium, un carattere a licenza aperta (è gratuito e si può modificare), tenendo in considerazione i fattori presentati nei paragrafi precedenti; il risultato è stato chiamato TestMe.

TestMe è reperibile gratuitamente a partire da questo link (http://synsemia.org/2013/06/11/font-testme/) in quattro versioni.

•    la prima (TestMe Sans) è priva di grazie (sans serif);

•    la seconda (TestMe Sans Alternate) ha le grazie solo su alcune lettere e forme più nettamente differenziate;

•    la terza (TestMe Serif) ha le grazie su tutte le lettere (serif);

•    la quarta (TestMe Serif Alternate) ha le grazie e forme nettamente differenziate.

 

Per testare la font è disponibile un sito dedicato: www.testmefont.com.

 

Si è scelto di mantenere costanti tutti gli altri parametri tipografici (contrasti, ascendenti, etc.) in modo da consentire al lettore di verificare se e come la presenza/assenza di grazie o la presenza di glifi fortemente differenziati possano influenzare le varie performance di lettura.

La font è stata rilasciata sotto Open Font License, questo significa che il carattere non solo è gratuito, ma che tutti i parametri della font sono modificabili con dei programmi dedicati come FontLab, RoboFont, Glyph, FontForge (FreeSoftware).

Solo mettendo a confronto font del tutto equivalenti, salvo un parametro, è possibile verificare se questo ha un’influenza significativa o meno su una performance di lettura.

Per capirci immaginiamo di dover fare un confronto tra due abitazioni per identificare quale delle due sia maggiormente vivibile. Le due abitazioni sono una a New York e l’altra a Roma, hanno diversa metratura, una si trova in un quartiere periferico l’altra in uno centrale, la prima è dotata di parcheggio, l’altra no, e infine una ha il parquet e l’altra ha le piastrelle. Ognuno di questi elementi ha un possibile effetto sulla vivibilità. Chiediamo ad un campione di possibili inquilini quale delle due sia più vivibile, immaginiamo che la risposta sia la casa di Roma (senza parquet). Sarebbe corretto trarre la conseguenza che le case senza parquet siano più vivibili?

Buona lettura e buona sperimentazione.

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